E’ uscita la ristampa di “E ti chiamaron matta”, il disco che io e Rocco Marchi registrammo dieci anni fa. Si tratta di sei brevi canzoni di Gianni Nebbiosi pubblicate all’inizio degli anni Settanta e da allora introvabili. La foga di riproporre questa testimonianza sull’orrore manicomiale e su quello che Basaglia chiamò “morire di classe” ci spinse a questo lavoro breve, sobrio (uscito senza alcun libretto) e lancinante.
Oggi, a quarant’anni dalla Legge 180, in un clima che ci pare sempre fosco, dove la “rivoluzione basagliana” viene decapitata delle sue ragioni sociali, dove da una parte si muore e si può usare il TSO come un arresto, dall’altra si vive di chimica ineluttabile, quelle canzoni sono forse ancora una dolorosa speranza.
Abbiamo voluto aggiungere la lunga Cantata in sei parti “Mastrogiovanni”, uno dei miei lavori più cupi e impegnativi, rimasta inedita perché totalmente legata nella mia testa alle “canzoni dei matti”. L’elemento di gioia sta nella condivisione di quel brano con Ascanio Celestini, che abbandonò per un giorno la Mostra di Venezia, dove presentava il suo primo film, per cantarla con noi.
Il libretto questa volta è curatissimo, oltre tutti i testi, foto inedite, due presentazioni dell’autore Nebbiosi e un mio scritto, contiene una vertiginosa messa a punto della questione dello psichiatra/scrittore Piero Cipriano, che col suo lavoro e coi suoi libri pubblicati per Eleuthera è diventato punto di riferimento e di dibattito fra l’idea della cura e L’Utopia libertaria.